n.3. Il potere delle chiavi

Il potere delle chiavi
L’IDEA DI AUTORITÀ DI CRISTO, riflessione sinodale n. 3.

di John Wijngaards
(Gesù disse a Cefa:): “E io ti dico che tu sei Pietro (roccia) e su questa roccia edificherò la mia assemblea (chiesa). Le potenze della morte non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli”. (Matteo 16, 18-19)
(Gesù disse agli Scribi:): “Guai a voi dottori della legge, perché avete tolto la chiave della conoscenza. Voi non siete entrati e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito”. (Luca 11,51)
3. “Ha perso la chiave, padre? Basta che suoni il campanello. Come sua governante sono io che ho il potere delle chiavi!”.
Negli anni ’80, in qualità di vicario generale dei Missionari di Mill Hill, visitai Kampala in Uganda, un’arcidiocesi in cui prestavano servizio alcuni dei nostri membri. Era stato organizzato un incontro di tre giorni in un centro di ritiro vicino alla capitale.
Il giorno di chiusura, durante la cena, è successo qualcosa di interessante. Uno dei nostri padri anziani, che chiamerò “Jo” e che prestava servizio come parroco in un villaggio remoto, si alzò dal suo posto a tavola e si rivolse alla comunità. Era noto per la sua smemoratezza. In una precedente occasione era tornato alla sua stazione di missione senza lasciare la chiave della sua camera da letto nel centro di ritiro…
“Amici”, ci disse. “È ora che io parta. Come sapete, ci vogliono quattro ore per arrivare a casa mia. Ebbene, per correggere la mia reputazione”, e con ciò fece ondeggiare una chiave perché tutti la vedessero. “Con tutti voi come testimoni, restituisco solennemente la chiave della mia stanza!”
Fece un passo avanti fino a dove era seduto il superiore locale, pronto a consegnargli la chiave.
“Grazie, Jo! Incredibile!”, disse il superiore. “Buttala sul vassoio laggiù!”.
Il vecchio prete salutò tutti, prese la sua borsa da viaggio, lasciò la sala da pranzo e poco dopo sentimmo la sua jeep partire per il viaggio.
La storia non finì lì. Dopo il pasto il superiore si avvicinò al vassoio su cui anche altri avevano gettato le chiavi. Prendendone una, esclamò: “Santo cielo! Jo l’ha fatto di nuovo! Ha lasciato la chiave di casa sua!”.
Significava che il povero Jo, arrivando nel cuore della notte alla sua casa parrocchiale in quel luogo lontano, avrebbe scoperto di avere con sé la chiave sbagliata…
Quale potere ha dato Gesù?
Non c’è dubbio che Gesù abbia dato autorità a Pietro, il capo della squadra apostolica, e di conseguenza ai suoi successori, papi e vescovi compresi. Nell’epoca imperiale romana e nel Medioevo feudale questo fu presto interpretato come se Pietro fosse stato in qualche modo elevato al rango di “imperatore” della comunità cristiana internazionale. Ma è questo l’intento di Gesù?
Le parole “costruirò la mia ecclesia” hanno indotto molti a dare per scontato che “ecclesia” si riferisse a un edificio, a una struttura, con tutte le connotazioni che la parola “chiesa” ha acquisito in inglese. Gesù sta effettivamente paragonando la “ecclesia” a una casa, con lo scopo principale di sottolineare il fondamento che le stava dando. Altrove aveva utilizzato la stessa metafora quando aveva insegnato che sarebbe stato saggio costruire la propria vita non sulla sabbia, ma sulla solida roccia del suo insegnamento (Matteo 7,24-26). Come la vita di una persona non è una casa o una struttura, così anche la “ecclesia”, la “chiesa”, dovrebbe essere considerata una casa o una struttura solo in senso metaforico. Nel Nuovo Testamento “ecclesia” significava semplicemente “assemblea”, “comunità”.
Il “potere delle chiavi” non si riferisce a un comando generale dall’alto verso il basso. Nel mondo di Gesù non erano gli imperatori, i re o i governatori a detenere le chiavi. I detentori delle chiavi erano funzionari che potevano concedere l’accesso a luoghi sacri, proprietà statali o grandi patrimoni. Il “potere delle chiavi” di Pietro si riferisce all’apertura delle porte della conoscenza, all’insegnamento.
Gesù rimprovera gli scribi per aver privato il popolo della “chiave della conoscenza” (Luca 11,52). Ricordiamo che Gesù inviò gli apostoli a predicare la buona notizia che il regno di suo Padre, il “regno dei cieli”, era arrivato. Non si riferiva a un luogo dopo la morte, ma a un nuovo regno sulla terra dove potevano fiorire la pace, il perdono, la riconciliazione e l’amore. Con il suo insegnamento autorevole su questa nuova realtà spirituale, Pietro, i suoi compagni e i loro successori avrebbero dato alle persone l’accesso a una sfera d’amore sublime.
Domanda
Diamo priorità a questa dimensione dell’autorità sacerdotale?
Testo: John Wijngaards; Vignetta: Tom Adcock.
Pubblicato in accordo con il Wijngaards Institute for Catholic Research

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