Violenza contro le donne: uscire dalla dinamica vittima-aggressore

di Maria Ilaria de Bonis

pubblicato su “In caritate” bollettino delle suore elisabettiane

La violenza si ripete ma non è mai la stessa. Man mano che diventa più visibile e manifesta, si fa anche più subdola e perversa. Specialmente quella contro le donne.

E’ uno degli aspetti meno indagati della violenza di genere ed è però giunto il momento di sviscerarlo.

Lo fa un recente volume a cura di Maria Rosa Ardizzone, Maria Francesca Francesconi e Giuseppe Chinnici, dal titolo: “Violenza sulle donne. Tra antichi pregiudizi e moderni mutamenti di identità, ruoli, asimmetrie di potere”.

Un’opera abbastanza unica nel suo genere, poiché per la prima volta mette assieme competenze laiche e cattoliche unendo le forze per difendere i diritti violati delle donne.

Alla presentazione del volume, al vicariato di Roma, lo scorso 12 aprile, i relatori hanno parlato di alcuni aspetti reconditi della violenza contro le donne. Si è passati dall’analisi della dipendenza affettiva-emotiva, alla presa di coscienza delle dinamiche di potere (dietro le quali si nascondono le violenze più subdole, anche dentro la Chiesa), fino alla gestione del cambiamento e della cura per l’universo maschile (e femminile).

«Questo è un fenomeno sofisticato – ha detto Sandra Chistolini, docente di pedagogia all’Università di Roma Tre – Le storie si ripetono tutte ma non è vero che sono tutte uguali. Le violenze contro le donne si fanno più sottili, subdole e psicologiche. Cambiano col passare del tempo. Quelle attuali non sono le stesse di dieci anni fa». Si fa più fatica a riconoscerle: pensiamo solo al gaslighting, quella forma di stordimento che il partner provoca nella compagna con l’intento di farla dubitare di se stessa e delle sue percezioni.

Oggi è necessario capire non tanto la parabola della violenza in sé, quanto piuttosto cosa va messo in atto affinchè essa non si riproduca.

Eccoci al nocciolo della questione: va bene continuare a fotografare l’esistente e a denunciare pubblicamente gli atti odiosi di femminicidio, ma è anche arrivato il momento di dire basta alla riproduzione della dinamica che purtroppo si va affinando.

Solo interrompendo il circolo vizioso della violenza subita e riprodotta si potrà forse un giorno uscire dalla dualità vittima-aggressore.

«La violenza non è innata, si apprende», è il presupposto. Uno dei fattori da tenere sotto esame per comprenderla meglio è il mondo dei bambini: «quando si parla di donne vittime – ha detto Chistolini – si ignora il più delle volte il danno verso chi assiste inerme a questi episodi in famiglia: ossia i figli. Non riusciamo a rompere il cerchio della violenza verso i minori». Ma è proprio qui che il fenomeno si riproduce. La famiglia dovrebbe essere il luogo della “protezione” e della sicurezza sociale per eccellenza, ma è quasi sempre in famiglia che si annidano e si riproducono le dinamiche della violenza subita, osservata, riprodotta, emulata.

«La violenza può essere stata rinnegata a voce, ma poi uscirà fuori nel corso degli anni: il danno sui minori è apparentemente invisibile», dice la Chistolini, ma diventa devastante nella pratica. I bambini che hanno visto la propria madre vittima di abusi o di azioni violente da parte dei padri, saranno purtroppo adolescenti e poi adulti che rioprodurranno a loro volta quella violenza. «I bambini apprendono i canoni e i codici verbali e morali che saranno patrimonio sepolto che presto o tardi riemergerà».

Nell’intervento a favore delle donne, quindi, andrebbe subito introdotto un parallelo intervento a favore dei figli. A questo riguardo la Chiesa di Roma ha preso provvedimenti: aprirà nei prossimi mesi uno sportello antiviolenza che si avvarrà del supporto di professionisti, psicologi, assistenti sociali, in  favore delle donne e dei loro figli, vittime di abusi.

La sede sarà quella della casa famiglia Mater Admirabilis, in via della Pineta Sacchetti. Ad annunciarlo è stato monsignor Andrea Manto, direttore del Centro per la Pastorale familiare della diocesi di Roma, proprio nel corso della presentazione del volume al vicariato.

«Spesso i due protagonisti (uomini abusanti e donne abusate) hanno entrambi storie di infanzia violenta alle spalle – ha spiegato Lucia Monterosa, psicanalista – Entrambi, cioè, sono stati vittime di violenza da bambini».

Questa verità può suonare stonata: perché mai persone che da piccole hanno subito un dolore dovrebbero infliggerlo a loro volta o continuare a subirlo, anziché lasciarselo alle spalle?

E’ la legge crudele della psiche che fa della vittima a sua volta un potenziale carnefice in una alternanza di ruoli incastrati e in assoluta schiavitù mentale e spirituale.

«Il narcisista perverso è colui che anziché sperimentare un conflitto, lo espelle. Nega la propria mancanza, la proietta sull’altro. Per le donne invece si ripete spesso il clichè masochista: hanno subito da bambine e da grandi anziché ricercare la libertà, andranno alla ricerca di un nuovo carnefice», spiega la Monterosa.

Ecco allora la necessità di intervenire sugli uomini oltre che sulle donne.

«Gli uomini devono essere aiutati a tollerare dei cambiamenti di coppia. A declinare in modo diverso la relazione», dice Monterosa. Ad ammettere anzitutto di avere dei problemi relazionali, poi a chiedere aiuto. A sperimentare delle alternative nella gestione del disagio e della paura.

La Casa Internazionale delle Donne di Roma svolge in questo senso un lavoro esemplare: da quasi un anno è attivo il progetto Parla con noi, uno sportello rivolto agli autori di violenza domestica.

«L’obiettivo è quello di insegnare loro ad interpretare e gestire le loro emozioni,  a regolare la rabbia, ad  adottare comportamenti non violenti», dicono le psicologhe.

«Il progetto è rivolto a tutti gli uomini, perché la violenza domestica è trasversale a tutte le classi sociali, le età, le culture», racconta la psicologa Teresa Dattilo al periodico Noi Donne.

«Faremo un grandissimo lavoro di rete sul territorio romano e nel Lazio – spiega –  anche con l’aiuto di tutte le realtà formali ed informali che lavorano contro la violenza domestica. Pensiamo anche alle questure, ai carabinieri, ai tribunali, ai pronto soccorso, ai servizi sociali, ai centri di salute mentale».

E noi ci auguriamo, presto anche assieme alle parrocchie, ai centri legati alla chiesa cattolica, alle diocesi, ai centri d’ascolto religiosi.

Perché debellare la violenza contro le donne è un compito troppo importante e socialmente rilevante per continuare a farlo da soli. Per non unire le forze.

Si tratta di contribuire a sconfiggere il germe del conflitto, della rabbia, della violenza, dell’infelicità. E dopotutto si tratta di lavorare a favore della pace. Nella coppia, in famiglia, nella società, nel mondo.

 

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