“Una spina nella carne mi è stata data”: un incontro con Paolo (quinta e ultima parte)
di Silvana Baldini
-Il giardino che mi avevano dato da guardare era piccolo, scuro, seminascosto tra le due ali del Palazzo di Erode; da una parte terminava con la cisterna dell’acqua e dall’altra con la terrazza verso il Tempio. Avevo avuto l’ordine di ripulire tutto; e mi sforzavo di finire il lavoro anche perché… perché volevo mangiare. Sai, allora non era come qui a Corinto da Prisca e Aquila, quel Ponzio era avaro e se qualcuno della casa non lo contentava gli diminuiva la razione di cibo oppure gliela toglieva del tutto, noi schiavi eravamo sempre affamati. Insomma, ero indaffarata e non mi accorsi di niente; quando tirai su la testa credimi, mi si gelò il sangue nelle vene: sulla terrazza c’era lui, lui Ponzio in persona, quell’uomo crudele di cui tutti erano terrorizzati, con un segretario. Davanti a lui, in piedi, con le mani legate, e con i segni del pestaggio, c’era quel vostro Jeshua di cui qui sempre tutti parlate. Che fare? Perfino una poveretta come me capiva che era una trappola: uscire passando davanti al Procuratore voleva dire frustate, farcisi trovare era come ammettere di essere una spia, peggio ancora. Mi raggomitolai dietro una siepe e pregai che non mi vedessero e difatti… mi andò bene. Però fu così che assistetti all’interrogatorio.
Paolo ascoltava tutt’orecchi e, se avesse recuperato un po’ di vista, anche tutt’occhi. Fece per chiedere qualcosa; lei lo zittì con un cenno
– Parlarono un bel po’ o almeno a me parve un bel po’, mezza morta di paura com’ero. Lo so cosa mi stai chiedendo, non ti so ripetere cosa dissero ma una frase sì, una frase mi risuona ancora nelle orecchie non so neanch’io perché. Ponzio dopo varie domande, tutte fatte con il suo solito modo sbrigativo, come ti chiami, da dove vieni e altre… gli chiese se era vero quello che c’era scritto nella denuncia presentata da un tale di Kiriat che asseriva che lui, lui Jeshua andava dicendo che avrebbe distrutto il Tempio e in tre giorni l’avrebbe ricostruito. Lui rispose che sì, era vero, ma che aveva inteso tutt’altro, che sarebbe crollato il vecchio Tempio della Legge di cui siamo prigionieri e sarebbe sorto il nuovo Tempio dello Spirito e della Verità. Non fu un buon argomento perché Pilato si irritò: – Dei! sentitelo! La verità! Perché, scriteriato, vai cianciando di cose di cui non puoi avere la minima idea? La Verità! E che cos’è la Verità?- Si alzò, buttò a terra la pergamena, e- penso – decise di averne avuto abbastanza. Lo fece portar via via e…e la storia finì come sappiamo. Alla fine da quel maledetto giardino se ne andarono tutti, persino io. Quando vidi che tutto era deserto, uscii di soppiatto dal mio nascondiglio e, puoi capire con quale respiro di sollievo, scappai via.
Eutichia incrociò le braccia, guardò verso Paolo e concluse
-Ecco, questo è tutto. Non ho altro da raccontarti
Paolo in silenzio la fissava, spiritato
-Vedo che ti ho turbato. Mi dispiace.
-No, no…anzi ti ringrazio.
-Posso andarmene adesso?
-Sì, sì. No. Aspetta. Dimmi solo un’altra cosa…
-Ancora?
-Sì. L’ultima, te lo prometto. Tu…tu sai che in questa casa siamo cristiani, che ci riuniamo nel nome proprio di quel Jeshua, io stesso sono arrivato qui per lui, eppure… nessuno, ti assicuro, nessuno, in questa casa sa niente di quel che mi hai riferito. Perché…perché tu questa storia non l’hai mai raccontata prima?
Lei si alzò dallo sgabello e sembrò a Paolo molto più alta
– Intanto perché io non sono dei vostri, non mi sono “convertita”, come dite voi. Poi perché noi schiavi crediamo sempre ad altri dei, a Mitra, a Iside, persino agli dei di quei Romani, ma comunque mai a quelli dei padroni. E infine perché, a parte te, nessuno mai – ti giuro – né qui né in altri luoghi, MAI mi ha chiesto niente di quel che potevo avere visto o sentito o ricordato di qualsiasi cosa. E io, da parte mia, sono abbastanza vecchia per sapere ormai come va il mondo: chi mai avrebbe creduto ai racconti di una donna, straniera, e per giunta non libera?
Poi aggiunse, e quasi a se stessa
-Ed è un peccato, sai, perché alle volte noi donne ne sappiamo più di voi uomini, greci, giudei, romani che conoscete gli alfabeti … e lo sappiamo in modo, in modo… ecco sì… in modo diverso.
Afferrò una volta per tutte il suo cestello e…
-Ad ogni modo il mondo è così e né io né te possiamo farci niente per cambiarlo. Ora basta, però, che è davvero troppo tardi. Ti saluto. Dirò a Demetrios di tornare
E uscì dall’oscurità.
Buonasera
Mi è piaciuto molto lo scritto in cui l’autrice ha preso un momento qualunque delle Sacre Scritture, lo ha scrutato e ha inserito una donna qualunque (addirittura una serva), le ha attributo un ruolo importante, per rivendicare uno spazio che alle donne è sempre stato concesso in minima parte.
Grazie
Emanuela
Buonasera
Ho apprezzato molto questo scritto che analizza molto da vicino un brano immaginario delle Sacre Scritture inserendo una donna qualunque (addirittura una serva) come protagonista di un incontro con Cristo rivendicando un ruolo che invece alle donne non è mai stato concesso.
Grazie
Emanuela