Testimonianza 11: quando la sofferenza porta all’emarginazione anche dalla Chiesa
Provengo da una famiglia normale che dopo la morte di mio padre si trasformò in famiglia problematica. Nonostante questo, mia madre per quanto le fosse possibile, cercò di educarci sostenuta dai valori cristiani. Abitavo di fianco alla casa canonica, ma questo non agevolò il nostro disagio, anzi, che io ricordi per il parroco eravamo invisibili e scomodi perchè “impegnativi” e perciò esclusi da ogni forma di aggregazione. La nostra colpa era di avere una madre alcolista, devastata dalla morte prematura di mio padre, grande amore della sua vita. Ma se la chiesa c’ignorava, ci fu una donna che m’insegnò attraverso un piatto caldo, una merenda , due caramelle ed un sorriso il vero volto dell’essere in Cristo. Crebbi e abbracciai questo stile, grata e riconoscente cercai di ricambiare anche se il mio volontariato per anni fu laico, fino a quando un sacerdote timido e riservato (nel frattempo mi ero sposata e trasferita), mi avvicinò (devo ammettere con molto coraggio)chiedendomi una mano con la catechesi. Mi rifiutai categoricamente, ma lui non si scoraggiò e continuò a cercarmi fino a quando per sfinimento accettai. Da lì nacque la mia nuova anima. Senza formazione se non quella primaria, scoprii quanto mi piacesse e mi venisse naturale parlare di Gesù ai bimbi che mi erano stati affidati. Furono anni bellissimi e sereni, in parrocchia ebbi la possibilità di esprimermi e di conoscermi veramente attraverso i miei talenti. Il parroco nel frattempo si trasferì, ma quello nuovo continuando la sua opera, agevolò il mio bisogno ormai vitale di crescita che nel frattempo divenne non soltanto spirituale ma anche formativo. Attraverso esperienze forti vissute in luoghi impegnativi quali gruppi di sostegno per alcolisti, la catechesi e il carcere , percepii che la sola esperienza non bastava e così m’iscrissi all’istituto di religione della mia diocesi frequentando i corsi che più mi si addicevano. Imparai così (purtroppo o per fortuna?) a fare un discernimento “formato”. Ispirata dallo stile dei figli della luce, m’impegnai con certi ambienti a cercare un confronto schietto e seppur critico, sempre volto al bene. Ma dalle reazioni che ne scaturirono, mi resi conto quasi subito che così non sarei andata lontana, infatti negli anni seguenti ciò che raccolsi dalle mie domande fu: silenzio, indifferenza, paura, esclusione . I pochi che ebbero il coraggio d’interagire con me lo fecero e lo fanno nel nascondimento e sporadicamente, sussurrandomi velatamente che il loro disagio è uguale al mio. Oggi vago e mi fermo dove capita, sostenuta dalla certezza di una Provvidenza . Soffro perchè vorrei che nella Casa del Padre tutti trovassero un posto di pari dignità e uno scopo volto alla sua Edificazione.