Parrocchie o reparti geriatrici?
Relazione di Linda Tripodi al primo incontro Donne per la Chiesa, Roma
Vorrei parlarvi brevemente di due cose che mi stanno a cuore: le donne e la famiglia. Se siamo qui, è inutile ribadirlo, è perché molte di noi vivono un disagio, come donne e come famiglie all’interno delle comunità parrocchiali in cui vivono.
Mi ci metto in prima persona: avete mai provato ad andare a Messa con tre bambini sotto i cinque anni in una delle parrocchie/reparto geriatrico delle nostre città?
Affranti dall’umiliazione di essere considerati dei terribili disturbatori della quiete avete, in seguito, provato a rifugiarvi in una delle parrocchie più “politicizzate”, quelle cioè che chiunque di noi ha definito, almeno una volta, “fondamentaliste cristiane”?
Ci si ritrova in mezzo a un esercito di famiglie piene di figli che spesso, non sempre ma spesso, vede il resto del mondo come un nemico e fa dell’intolleranza una bandiera e della donna “angelo della casa” un modello.
Inutile dirlo, scappi anche da lì.
Il risultato è, per le coppie più volenterose, andare a Messa a turno, aspettando che i figli crescano abbastanza da non essere più considerati dei disturbatori.
Solo che poi, quando crescono, la parrocchia non è più quella seconda casa che era stata per noi da bambini, ma un luogo dove tocca andare un paio di volte alla settimana per fare la Prima Comunione e ricevere il tanto agognato telefonino promesso dai nonni.
E questo rende strutturali le parrocchie reparto geriatrico e le parrocchie fondamentaliste, ma soprattutto, rende strutturali le parrocchie vuote.
Mi sono domandata quando è cominciato tutto questo e ritengo di poter dire che l’origine è tutt’altro che recente. Personalmente credo che parta più o meno dagli anni Sessanta questo allontanamento progressivo tra giovani donne e chiesa, tra famiglie e chiesa.
Le donne cattoliche erano state per secoli dei pilastri del movimento femminile, penso a donne come Guglielmina Ronconi con la sua Opera di Vita Morale che tanto ha fatto per l’emancipazione delle donne di questa città a inizio Novecento.
Ebbene, negli anni Sessanta e ancora più negli anni Settanta, però, il movimento femminista assume quella connotazione prevalentemente antinatalista che lo caratterizza in larga parte ancora oggi e purtroppo proprio questa svolta gli fa perdere gran parte dello slancio che lo aveva portato a raggiungere traguardi insperati in pochi anni dalla fine dell’Ottocento in poi.
Ovviamente molte donne, non solo cattoliche, non si ritrovavano in un movimento antinatalista e purtroppo questo argomento negli anni ha fagocitato tutte le altre rivendicazioni, parlo anche di rivendicazioni laiche quali possono essere la parità salariale o di trattamento contrattuale.
Sono praticamente scomparsi anche quei movimenti single issue che invece erano stati linfa vitale delle associazioni femminili del primo Novecento con le suffragette o le associazioni che rivendicavano l’accesso agli studi superiori anche per le donne e credo che il primo movimento single issue, veramente forte che nasce dagli anni Settanta ad oggi sia il movimento #metoo degli ultimi mesi.
Un po’ pochino in quarant’anni!
Le donne cattoliche in questo periodo forse si sono ripiegate su loro stesse, si sono rassegnate a una fede più intima, hanno avuto paura di rivendicare dei ruoli forse anche per paura di venire associate a un movimento femminista in cui non si rispecchiano, ma nello stesso tempo non hanno saputo innovare finendo per essere un modello di donna in cui le loro figlie non si riconosce più.
Quindi, io oggi voglio partire da noi, dalle nostre mancate rivendicazioni di questi anni, che non sono meno gravi della mancanza di attribuzioni che le gerarchie hanno negato o non hanno riconosciuto alle donne.
Dobbiamo ripartire dall’elementare “Chiedere e vi sarà dato”, ma a chiedere dovremo essere in tante, non più singole catechiste, non più singole parrocchiane, singole suore, dobbiamo essere un movimento compatto con più voci.
Dobbiamo rendere impossibile girarsi dall’altra parte.
È l’unico modo per essere veramente credibili, prima di tutto per quelle donne, soprattutto giovani, che hanno gettato la spugna o che si sono allontanate, perché la donna cattolica non risponde più a quello che vogliono essere e poi in secondo luogo per coloro cui le nostre istanze vanno indirizzate.
È banale dirlo, lo so, ma l’unione fa la forza e noi dobbiamo averne molta di forza e dobbiamo lavorare come forza catalizzatrice per tutte coloro che hanno voglia di fare.
Ogni spazio lasciato libero da qualcuno viene occupato da qualcun altro e lo spazio lasciato vuoto dalle femministe cattoliche (e torniamo a usare questo termine in positivo!) è stato occupato da un lato da un femminismo laico arrabbiato che per molti versi non rappresenta più la maggioranza delle donne, perché ha trascurato istanze importantissime e dall’altro da un modello di donna cattolica “vittoriana”, “sottomessa”, per usare una parola che è molto in voga in quelle frange di donne che si rispecchiano in questo modello negativo tanto quanto l’altro.
Voglio concludere con un mio ricordo personale:
subito dopo la prima comunione per i bambini della mia parrocchia era motivo di grande orgoglio entrare a far parte dell’esercito dei ministranti. In altre parrocchie da poco, ai tempi della mia prima comunione, c’erano già le ministranti femmine assieme ai maschietti, nella mia no, il mio parroco era fermamente contrario.
Seppur piccola e piena di timore reverenziale, mi feci portavoce insieme ad altre mie giovanissime amiche, incoraggiate dalle nostre catechiste, di una infruttuosa protesta chiedendo al parroco di adeguarsi a quello che già avveniva in diverse parrocchie della città.
Due o tre anni dopo però il mio parroco si dovette, suo malgrado, adeguare al nuovo corso che apriva alle bambine il ruolo di ministranti e allora tornai alla carica, ormai sola perché mi ero persa per strada le altre contestatrici, ma il parroco mi disse che, costretto ad aprire alle bambine, io con i miei undici o dodici anni ero ormai una donna e quindi comunque non adatta a fare la chierichetta.
Fine della mia breve storia triste.
Le donne cattoliche si abituano presto ai no, ma oggi penso che forse quel giorno di tanti anni fa avrei ottenuto di più se a chiedere non fossi stata da sola.
Ed in fondo la colpa non era solo di chi non c’era più, ma era anche la mia che non avevo dato il giusto peso al gruppo pensando di poter fare tutto da sola.
Ho fiducia care amiche e cari amici che qualcosa di veramente positivo stia iniziando.
Siamo in pochi oggi, ma cresceremo e diventeremo tanti.
Coraggio!