L’analisi delle bambine non è solo grammaticale
di Chiara Giliberti
Ho una figlia di otto anni che frequenta la terza elementare, già da un po’ è alle prese con l’analisi grammaticale, quella per cui il linguaggio è colto in termini di verbi, articoli, aggettivi e nomi articolati secondo la tassonomia singolare-plurale e maschile-femminile. La mente dei bambini impara così a cogliere come rilevante la distinzione sessualmente connotata: c’è differenza tra maschile e femminile e questa differenza si riverbera linguisticamente.
Questo, che nell’ottica adulta diviene un fatto culturale talmente consolidato da non meritare, per alcuni/e, particolari problematizzazioni, nell’ottica di una mente in formazione, quale è quella bambina, è qualcosa che prende corpo e che nel tempo si deposita sollecitando, contestualmente, alcune domande.
Mia figlia, a distanza di pochi giorni, mi ha offerto due di queste domande che ho trovato significative, al fine di ragionare su alcune questioni cercando di tenere presente la prospettiva delle bambine, evolutivamente considerata.
La prima domanda è stata: ‘Mamma qual è il femminile di capo?’
Le ho risposto che, purtroppo, nella nostra lingua alcune parole non hanno una declinazione al femminile o, se la possiedono, questa in realtà ne cambia il significato (capo è colui che comanda, capa è una parte del corpo).
Devo dire di essermi sentita molto a disagio a darle questa risposta. Un po’ perché ho colto come lei desiderasse che il femminile di questa parola esistesse e come questo desiderio, a otto anni, non sia una rivendicazione astratta o una questione di principio, ma sia connesso alle prime immagini di se stessi che i bambini iniziano a farsi, immagini costruite anche a partire dal percepirsi maschi o femmine.
Un po’ perché ho anticipato tutte le occasioni in cui mia figlia farà riferimento ad alcune parole, non potendo fare solo l’analisi grammaticale, ma dovendo aggiungere quel coefficiente di neutralità a partire dal quale parliamo di medici, giudici e avvocati donne. E se esprimersi in questi termini per gli adulti, uomini e donne che siano, può rappresentare un’operazione indolore, forse, per le bambine, in una fase della loro vita, potrebbe essere più immediatamente connesso ai loro sogni pensarsi avvocatesse, astronaute o medichesse.
La seconda domanda è stata: ‘Qual è il femminile di sacerdote?’.
Questa domanda è arrivata a pochi giorni di distanza dalla prima e, apparentemente, mi metteva in una situazione più facile, visto che sacerdotessa è contemplato dal nostro dizionario, ma, come è facilmente intuibile, lo scambio non ha preso una via meno in salita. Perché, nella realtà ecclesiale che lei frequenta, non esistono sacerdotesse, questa parola l’abbiamo ereditata, ma non la riempiamo in nessun modo di significato, in Chiesa, almeno al momento, non vedrà sacerdotesse, solo sacerdoti.
Ovviamente mia figlia mi ha chiesto il perché di questo stato di cose ed io le ho risposto che si trattava di un ingiustizia e di qualcosa che sarebbe stato giusto cambiare. Nel darle questa risposta ho pensato alle parole di Fiammetta Borsellino che, intervistata da Fabio Fazio, circa come parlasse alle proprie figlie della vicenda del nonno, ha affermato: “Una verità non è una verità davvero sensata, se non può essere spiegata a una bambina di otto anni”.
Trovo che la mente dei bambini, e nel caso specifico delle bambine, sia un preziosissimo vaglio per passare il quale occorre sforzarci incessantemente di scoprire il senso della verità. Perché la Verità è tale se elicita sempre di nuovo la generazione del senso per ciascuno/a, diversamente la sua solidità si nutre di parole non dette, sogni non sognati e vite non vissute o vissute a metà.
Secondo me i nomi femminili terminanti in cia e gia con la i non accentata, al plurale non hanno mai la i . Per esempio: valigia – valige; ciliegia – ciliege
E’ il più bell’articolo che ho potuto leggere in tutti questi anni sull’argomento. Il punto di vista dei bambini, specialmente delle bambine, non conta assolutamente nulla in un mondo di adulti che usano i bambini per i loro interesse, pur legittimi, ma non primari rispetto a quelli. Quando gli adulti saranno capaci di anteporre i bambini che hanno in custodia “temporanea” a qualsiasi loro interesse o diritto, il mondo comincerà a girare per il verso del futuro: il bambino/a deve crescere e io diminuire. Grazie, Chiara, è stato un vero piacere e una bella sorpresa leggerti. Paolo Farinella, prete