La piena partecipazione alla missione di Cristo: è questo che vogliamo!
Relazione di Paola Lazzarini al primo incontro di Donne per la Chiesa, Roma
Donne per la Chiesa è un raggruppamento informale di donne di tutta Italia (e non solo) che si è andata formando a partire da un nucleo originario di una trentina di persone che hanno scritto il Manifesto che oggi qui presentiamo. Il progetto è nato in seguito a un mio articolo sulle criticità che vedevo nella rappresentazione della donna credente come negli ultimi anni si è affermata e in particolare sul rischio che all’interno di questa si perpetui un’immagine di donna che non rende giustizia alla complessità e diversità che il mondo femminile cattolico racchiude.
Da quell’esigenza di rendere conto della realtà composita delle donne cattoliche, che da molte parti mi è arrivata, è nata una riflessione condivisa che ci ha portate ben oltre questo problema di rappresentazione per toccare il cuore stesso della nostra condizione di donne figlie della Chiesa. Ci siamo trovate quindi ad esplorare, attraverso la nostra esperienza e le nostre conoscenze, lo stato di minorità che tuttora la donna vive. Dopo quasi tre mesi di lavoro abbiamo prodotto un documento chiamato “Manifesto delle donne per la Chiesa”, è un documento che ha qualcosa di realmente ingenuo perché parla in maniera molto diretta e molto concreta dei problemi, delle sofferenze, ma anche dei desideri e degli auspici delle donne credenti. Non rappresentando nessuna realtà specifica (tra noi ci sono donne che vengono dal mondo associativo, dai movimenti, dalle parrocchie) ci siamo “permesse” di parlare con semplicità, a cuore aperto e – forse per questo – il documento ha trovato una risposta e una eco immensamente più ampie delle nostre aspettative. Abbiamo scoperto solo a posteriori che si trattava di un unicum in Italia, perché mentre nel mondo le donne cattoliche portano già avanti un ampio lavoro di advocacy femminile, in Italia questo non avviene, almeno non a livello di base, c’è l’immenso e preziosissimo lavoro delle teologhe, ma come donne “normali”, che vivono nelle parrocchie, nelle associazioni, nei movimenti, fino ad ora era mancata una espressione e una organizzazione che ne promuovesse la consapevolezza. Così eccoci qui, a distanza di quattro mesi e mezzo dalla pubblicazione del manifesto a ritrovarci con gruppi avviati già in altre tre città, con una pagina facebook seguita attivamente da tremila persone, con media che parlano di noi di qua e di là dell’oceano.
Sentiamo tutta la responsabilità di aver messo la questione femminile al centro della scena, di averlo fatto nella Chiesa italiana, ben sapendo di essere solo una piccola realtà che però sta riuscendo ad aggregare persone da tutta Italia, persone che hanno già le loro appartenenze ecclesiali e anche alcune che si sono allontanate proprio per la fatica di essere donne nella Chiesa.
Ma sappiamo anche di poter cercare ispirazione e conforto nella storia della Chiesa, che qui a Roma risuona da ogni pietra, sappiamo di avere grandi madri a cui ancorarci: Maria di Nazareth, Maria la Maddalena, ma anche la vedova Marcella, che proprio qui a Roma riunì attorno a sé le prime protagoniste della vita monastica femminile in occidente (330-410) e poi le grandi martiri cristiane, quando ancora nella Chiesa c’era un modello egalitario perché (come ci racconta Cettina Militello) “ finchè bisogna lottare e morire non c’è differenza tra uomini e donne, la differenza subentra non appena un gruppo acquisisce il potere, appena si stabilizza la situazione, la prima cosa che viene fatta fuori sono le donne”.
Non siamo sole dunque e non siamo pioniere, siamo discendenti di una antica tradizione di donne che hanno sentito risuonare nella loro vita la parola liberante di Gesù e l’hanno seguita, sono state da lui guarite, salvate, liberate. Donne che nei secoli hanno però sperimentato la sottomissione, l’estromissione da molte parti della missione ecclesiale, anche l’umiliazione di sentirsi figlie di seconda categoria. Ma oggi vogliamo leggerci dentro, guardare alle nostre personali esperienze con onestà: se siamo qui è perché nella Chiesa abbiamo trovato anzitutto nutrimento, qui abbiamo conosciuto il Signore, qui in questa Chiesa cattolica romana abbiamo sentito risuonare la Sua Parola e ce ne siamo innamorate, AL TEMPO STESSO qui abbiamo anche sperimentato il senso di umiliazione che viene dallo scoprire che la nostra fede e la nostra vocazione, in quanto donne, è sempre qualcosa di meno, che la struttura gerarchica della Chiesa porta in sé insieme al grano buono la gramigna della misoginia e del patriarcato. Allora il nostro incontrarci è anzitutto per dirci che amare la Chiesa non ci impedisce di volerla più coerente col messaggio di uguaglianza e liberazione di Gesù Cristo e che vederne i limiti non ci impedisce di amarla con tutto il cuore.
Il nostro Manifesto ha una struttura semplice:
Chi siamo
Cosa chiediamo
Cosa proponiamo (criteri e azioni)
Il chi siamo l’abbiamo già un po’ visto, cito: “Siamo donne credenti, siamo discepole di Gesù, innamorate della Chiesa, delle nostre famiglie, di chi è più fragile e più indifeso, ma innamorate anche della nostra forza, energia e intelligenza, doni di Dio. Alla Chiesa, come anche alla società e alle nostre famiglie, vogliamo portare tutto ciò che siamo e non sminuirci per compiacere qualcuno”. La nostra attenzione è quindi a porci come interlocutrici, come membra vive e attive della Chiesa con tutto quello che siamo, non con spirito rivendicativo, ma assertivo: questo siamo e questo portiamo, non siamo disponibili a lasciarci definire da altri, non siamo un destinatario di attenzioni o di interventi pastorali, ma siamo protagoniste della missione della Chiesa insieme ai nostri fratelli uomini. È un messaggio semplice eppure non scontato.
Mettiamo poi in campo il problema, che è quello di aver sperimentato e osservato una dinamica estremamente contraddittoria e antievangelica: da un lato sono le donne a tenere in piedi parrocchie, associazioni, movimenti, famiglie, a trasmettere la fede, dall’altra la fede delle donne, le vocazioni femminili sono di fatto sempre seconde rispetto a quelle maschili e le donne sono anche estromesse dai principali processi decisionali della Chiesa. In mano al clero e quindi a uomini celibi. È chiaro e siamo ben consapevoli che quello che viviamo in questo senso è un problema che tocca un po’ tutto il laicato, eppure in quanto donne la struttura clericale ci allontana due volte: come laiche e come donne. Per questo oltre che alle donne noi ci rivolgiamo anche agli uomini laici che sognano una chiesa meno gerarchica e alcuni di loro ci stanno attivamente aiutando, d’altronde non potrebbe essere altrimenti.
Le nostre richieste le presentiamo alla chiesa gerarchica, ovviamente noi non abbiamo bisogno di chiedere il permesso a nessuno per riunirci, per formarci e per lavorare, ma non possiamo ignorare che perché alcuni passi vengano compiuti è importante che vengano messe in campo delle decisioni concrete. Non vogliamo costruire una chiesa alternativa, che proceda su binari paralleli rispetto a quella gerarchica, noi vogliamo camminare insieme e aiutare i nostri pastori a conoscerci e riconoscerci. Anche a non avere più paura di noi.
E le nostre richieste sono:
- Rispetto nei confronti del nostro impegno, la possibilità di esprimere un servizio coerente con le nostre competenze e capacità
- Che i presbiteri ai quali le nostre comunità sono affidate conoscano e apprezzino il femminile, che abbiano un rapporto sano e sereno con le donne, che siano persone psicologicamente mature.
- Che si prenda in considerazione che la ricerca vocazionale femminile ha aperto nuovi e più articolati orizzonti, in una maturazione di prospettive che necessita di attenzioni e risposte.
- Che si riconosca la possibilità per le donne di avvicinarsi al cuore della vita ecclesiale e che si attribuisca il dovuto valore all’autentico desiderio di partecipare ad una ministerialità più attiva, compresa quella sacramentale. E che pertanto è legittimo e va nel senso del bene per la Chiesa intera iniziare a concepire risposte concrete in questo ambito.
Il fatto di mettere in campo delle richieste non significa però metterci nella posizione di chi attende (anche attivamente) delle concessioni, noi sappiamo che il cambiamento deve partire da noi, dal nostro modo di stare e fare nella Chiesa che deve crescere in consapevolezza e autorevolezza. Per questo abbiamo descritto i criteri coi quali ci vogliamo proporre, che sono anche gli obiettivi ai quali vogliamo tendere creando dei gruppi territoriali che si formino e si sostengano:
- Assertività: non temiamo di proporre, di chiedere riconoscimento per ciò che facciamo e portiamo alla comunità
- Libertà: il nostro agire non è finalizzato a conquistare posti di prestigio e questo ci mette in condizioni di non ricattabilità
- Alleanza femminile: là dove siamo e tra noi scegliamo di essere alleate delle sorelle che incontriamo e soprattutto di non cadere nella rivalità tra donne per ottenere l’approvazione maschile
In questi tre aspetti vogliamo formarci e crescere, scrollandoci di dosso anche la paura di andare ad esercitare funzioni di autorità: a noi non interessa il potere nel senso del dominio, neppure del prestigio, ma ci interessa il “poter fare”, la piena partecipazione alla missione affidata da Gesù alla sua Chiesa e vogliamo essere donne capaci di assumersene la responsabilità per la loro parte.
Ritrovarci concretamente non è dunque finalizzato a creare l’ennesima associazione, che si sovrappone ad altre appartenenze, ma a offrire a chi lo desidera un contesto di riflessione e approfondimento che ci aiuti a mantenere vigile l’attenzione sulla questione femminile e a sviluppare un approccio assertivo nelle realtà ecclesiali in cui già operiamo o vorremmo farlo.
Nei mesi scorsi ci hanno alternativamente descritte come rivoluzionarie e come persone che non dicono nulla di nuovo, in realtà credo che l’unica cosa che davvero ci connota sia la ricerca di una voce che sia nostra, in Francia dicono “osare la parola” ecco, questo è quello che cerchiamo di fare e lo facciamo per quello che siamo, con gli strumenti che abbiamo, imperfetti, ma autentici. Prendere la parola semplicemente come donne credenti significa voler far crescere una consapevolezza diffusa e dar voce al coraggio e alla sofferenza di tante donne che oggi reggono la nostra Chiesa in maniera invisibile.
Non auspichiamo un #metoo scandalistico, né vogliamo dare un’impronta rivendicativa al nostro ritrovarci, noi vogliamo operare nelle comunità con la forza di chi ama la Chiesa, ma anche con la lucidità per dire che la Chiesa del futuro sarà egualitaria o non sarà… e noi siamo pronte e capaci di fare la nostra parte perché lo diventi.