Eva e le altre, donne come noi
di Maria Teresa Milano*
Sono ebraista e non mi occupo di questioni femminili in modo specifico, ma in qualche modo la storia delle donne attraversa da sempre le mie tante attività e i miei interessi, accademici e non.
La mia curiosità risale a quando ero piccola: mia mamma mi leggeva la Vera storia dei bonobo con gli occhiali, un libro della fortunata serie Dalla parte delle bambine diretta da Adela Turin e passavo le mie giornate con mia nonna che aveva creato intorno a sé un circolo femminile d’altri tempi, un numero nutrito di donne che faceva capo a lei per ogni sorta di domande e problemi.
Sono cresciuta in una grande famiglia in cui tutte le donne hanno sempre lavorato e avuto ruoli di responsabilità, hanno sempre guidato e gestito i propri viaggi in modo autonomo, hanno potuto coltivare i propri hobby, hanno preso decisioni importanti e non ho mai avuto l’impressione, nemmeno per un attimo, che in qualche modo le donne fossero inferiori agli uomini, anzi, mi è sempre sembrato che per molte faccende gli uomini avessero bisogno di appoggiarsi alle donne.
Avrei poi trovato conferma di questo leggendo “L’anello forte” di Nuto Revelli, un ritratto sincero e profondo delle donne nella società contadina del cuneese d’un tempo, in cui molte vivevano una condizione di sottomissione soprattutto economica e diverse famiglie erano segnate dalla piaga della violenza domestica, ma laddove i mariti erano uomini perbene, l’opinione della moglie era tenuta in grande considerazione.
Sono entrata in contatto con la discriminazione di genere dunque molto tardi, forse perché non avendola in mente non riuscivo neppure a riconoscerla come tale. Ricordo che avevo forse già 25 anni quando ho capito che un uomo che batte un pugno su un tavolo è carismatico e sicuro di sé, mentre una donna che fa la stessa cosa è una prepotente o un’isterica, quando non una femminista (ovviamente il termine è pronunciato con disprezzo e porta con sé un corredo di immagini in cui i reggiseni bruciati sono solo il punto di partenza).
Forse anche per questo ho iniziato a leggere le storie di donne con altri occhi e ho iniziato ad ascoltare le voci e le vicende femminili dal vivo, perché proprio come mia nonna anche io ho creato un mio “circolo”, in cui si parla di cose belle e di successi, ma anche di paure e di difficoltà, con grande schiettezza.
Ed è proprio a queste donne che ho iniziato a portare un pezzetto del mio lavoro su quel testo meraviglioso che è la Bibbia, a impiegare alcuni spunti che il testo ci dà perché penso che quel testo antico che per troppi secoli (ancora oggi purtroppo) è stato confinato all’ambito della fede e alla pratica religiosa, sia in realtà una miniera di riferimenti umani e universali.
Una grande studiosa israeliana, Rachel Elior, ha definito le donne della Bibbia “presenti/assenti” e in effetti tutti noi conosciamo Abramo, Mosè, Davide e Isaia, ma forse non abbiamo mai sentito parlare di Micol, Miriam, Chulda o Tamar. E se ne abbiamo sentito parlare forse ci sono apparse così lontane, nel tempo ma anche nei riferimenti, come se non c’entrassero nulla con la nostra vita.
In realtà, se noi eliminiamo da quelle figure la patina (o per meglio dire la coltre spessa) del moralismo e dei significati poco umani e molto simbolici che abbiamo accumulato lungo i secoli e proviamo a leggere i personaggi alla luce dell’esperienza prettamente umana e quotidiana, ritroviamo ogni minima sfaccettatura dell’essere donna, ogni singolo aspetto della nostra vita. Vediamo in quell’universo femminile tanti pezzetti di noi, a prescindere dalle nostre scelte di vita o di fede, perché quelle vicende ci raccontano in generale come siamo fatte, ci suscitano domande importanti e fungono da specchio.
Inoltre, cosa importante, possiamo leggere il rapporto tra le figure femminili e quelle maschili, possiamo osservare il loro modo di stare al mondo in quanto esseri umani. Non icone, non simboli, ma donne come noi.
In quel libro troviamo ogni situazione possibile e ovviamente anche i grandi temi che ci toccano: la relazione con l’uomo in ogni forma (amare, essere amate, essere rifiutate, essere sfruttate, sedurre ed essere sedotte), la maternità, il ruolo sociale e comunitario, il rispetto e anche la violenza, verbale e fisica (a questo proposito ricordiamo lo stupro di Tamar e di Dina e la terribile vicenda della concubina di Gabaa).
Davvero credo che nelle storie di quelle donne si possano ritrovare i nodi della nostra esistenza, del nostro essere umani.
Prendiamo per esempio Eva, il personaggio che più di ogni altro ha influenzato la percezione della donna nella nostra cultura e nella nostra società religiosa ma non solo. Ci è stata inculcata una visione profondamente errata e credo che spesso questo sia stato fatto in assoluta malafede.
Eva è associata alla parola peccato, è la tentatrice, è un essere subdolo e l’uomo Adamo è una vittima. Pensiamo a quanto questo ha condizionato e continua a condizionare il nostro modo di guardare il mondo e credo sia una violenza verbale (che poi ha ricadute anche molto concrete) da parte di tutti noi, ogni volta che guardando una situazione ci aggrappiamo al “modello Eva”, peraltro nella sua visione bieca e sbagliata, funzionale solo a disegnare modelli maschili e femminili utili a una società maschilista e patriarcale.
Purtroppo la lettura errata della vicenda di Adamo ed Eva ha influito in modo molto pesante
Ma cosa c’è scritto davvero?
Sono 2 i racconti della creazione: 1. Dio crea l’essere umano, maschio e femmina (assoluta uguaglianza in natura); 2. Dio crea la donna dall’uomo, come parte di lui e il testo dice che crea per lui un ezer kenegdo, un aiuto che sta di fronte e contro, ovvero in relazione dialogica e dialettica. Perché due racconti della creazione? Io credo per illustrare due aspetti: quello biologico, legato alla natura (maschio e femmina) e quello legato alla relazione (in dialogo e in dialettica).
Di certo nessuno dei due racconti parla di superiorità dell’uomo sulla donna e nessuno dei due lascia pensare che l’uomo debba dominare la donna. Chiunque si appelli alla Bibbia per dimostrare questo o non l’ha mai letta, o non l’ha capita, o la usa in modo disonesto per i propri scopi.
Cosa succede dopo la creazione? C’è il famoso fattaccio dell’albero della conoscenza del bene e del male. Eva vede che quell’albero è buono e bello da mangiare, desiderabile agli occhi, affascinante da comprendere. Quell’albero colpisce Eva nella parte più istintiva ovvero attraverso i sensi (bello, buono, desiderabile), ma anche nella sua mente, perché lei sente che è affascinante da comprendere.
E così Eva coinvolge l’uomo in quella meraviglia e gli porge la mela, cioè gli dice: “facciamo questo percorso insieme, nella conoscenza della realtà”. Ma dopo essersi incamminati insieme lungo quel percorso, a un tratto i due si accorgono di essere nudi, ovvero capiscono di essere umani e vulnerabili. In effetti a quel punto il testo biblico dice che Dio consegna loro due tuniche di pelle. Adamo ed Eva piombano nella realtà: sono fatti di pelle, sono esseri umani e non angeli.
E allora inizia la fatica, che non è solo il duro lavoro della terra e la sofferenza del parto, ma è proprio la fatica di continuare a camminare insieme, uomo e donna, nel mondo reale, dopo che il paradiso è finito.
Quando ci si innamora è come stare nel Giardino di Eden, poi si entra poco alla volta nella conoscenza reciproca e a un tratto ci si guarda e ci si accorge di essere nudi, umani, senza difese e vulnerabili, persone che sbagliano e che per la maggior parte del tempo fanno semplicemente quel che possono. La consapevolezza dà inizio alla fatica, ma non vi è nulla di tragico in questo, anzi, accettare quella fatica e starci dentro è il primo passo per cercare insieme, uomo e donna, il senso della vita.
In effetti da Adamo ed Eva in poi, la Bibbia ci racconta di uomini e donne che affrontano le situazioni più disparate e se leggiamo quelle storie con occhi puliti, senza sovrastrutture, senza moralismi, vedremo proprio noi stessi e le nostre situazioni. E il punto fondamentale è che come ha fatto notare una psicanalista e filosofa francese, Éliane Amado Levy, tutta la storia è un susseguirsi di coppie e infatti la prima frase che pronuncia Dio nel racconto della creazione è “Non è bene che l’uomo sia solo”.
La donna non è un accessorio e non è uno strumento per fare figli; la donna è la metà dell’umanità e l’uomo non esiste senza donna. Lo dice molto chiaramente la Bibbia: uomo e donna camminano a fianco, fanno insieme la storia, si sostengono e si confrontano, stando sullo stesso piano.
Dunque l’uomo non ha alcun diritto di prevalere e se lo fa, ne pagherà le conseguenze, perché il suo prevalere è contrario alla natura e alla relazione.
Allora perché la lettura di quel testo ha contribuito così tanto a creare la visione opposta? Questa è la classica domanda da 1 milione di dollari e mi permetto di dire che forse è successo perché la lettura è stata fatta soprattutto dagli uomini, spesso da uomini che non solo non erano sposati, ma avevano pure il sacro terrore delle donne. Se uno legge la Bibbia e ha difficoltà con le donne, è ben difficile che possa avere una visione oggettiva del testo e possa leggerlo in libertà. In realtà credo che sia ben difficile che possa avere una visione normale della vita in generale, ma questo è un altro discorso.
Il testo biblico si presta a moltissime letture e ci insegna a guardarci, a farci domande, a ritrovarci in tanti piccoli frammenti che poi vanno a comporre la nostra esistenza.
Eva ci ricorda costantemente che noi donne siamo capaci di intraprendere percorsi di conoscenza, camminando a fianco agli uomini, nella reciprocità, condividendo esperienze e che nessuno ha il diritto di farci sedere sul sedile posteriore. Ricordiamolo ogni volta che sentiamo quella frase orribile “Dietro ogni grande uomo c’è una grande donna”. Si sta a fianco, non dietro.
Miriam, sorella di Mosè e Aronne che canta per il popolo all’uscita dalla schiavitù d’Egitto, segnando così il punto più importante della storia ci ricorda che abbiamo una voce e che abbiamo il diritto di farla sentire nei momenti cruciali.
E gli esempi sono ovviamente decine e decine e non è possibile entrarci dento ora, ma vale la pena citare un particolare che mi ha sempre molto colpita. I racconti biblici spesso impiegano l’aggettivo “bella” per definire la donna.
E questo ci ricorda una cosa fondamentale: è nostro diritto essere e sentirci belle sempre, perché non si tratta di proporzioni del viso, corpi scolpiti o pelle perfetta e non si tratta neppure di essere giovani ed esibirsi su Instagram e affini, ma si tratta di avere la consapevolezza che siamo belle anche quando passano gli anni, perché la bellezza viene dalle esperienze che abbiamo maturato, dai tesori che abbiamo dentro di noi e che ci rendono così speciali. Nessun uomo ha il diritto di dirci il contrario, anzi, gli uomini intelligenti guardano le nostre rughe e i segni degli anni e dicono: “Sei bellissima”.
Abramo e Sarah erano molto anziani e il testo dice che lei era bellissima, ma non lo dice di lui. Ricordiamolo ogni volta che diciamo o sentiamo dire: l’uomo diventa affascinante quando invecchia, la donna si “disfa”. In realtà lo stesso processo avviene anche nell’uomo e le nostre sono solo idee infondate ma così radicate che abbiamo iniziato a crederci.
Cari signori uomini che avete costruito un sistema intero su questo testo, facendovi patriarchi, provate a rileggere quel passaggio e a comprendere meglio la risata di Sarah, che è per sé ma anche e soprattutto per Abramo. E in quella risata c’è anche posto per un colpo dritto all’orgoglio maschile, perché Sarah esprime chiaramente il suo dubbio di poter provare piacere, data l’età del suo uomo.
Come ho detto, la Bibbia è davvero una miniera di riferimenti umani e universali e le sue donne ci parlano di quel che siamo. Forse possiamo cominciare proprio di qui, dicendoci chi siamo e cominciando così a essere presenti e non presenti/assenti.
* Maria Teresa Milano è docente di lingua, storia e cultura ebraica allo STI ISSR di Fossano, traduttrice, collabora con festival letterari, giornali, musei, teatri e associazioni culturali, crea progetti culturali e porta avanti l’attività artistica con le Voci Fuori dal Coro di Fossano e con il gruppo klezmer Mishkalé.
http://www.salottibiblici.com/
Questo intervento è stato fatto in occasione della Giornata contro la violenza alle donne per la Consulta per le pari opportunità di Genola (CN) e il Centro antiviolenza Mai più Sole.
Dall’11 novembre 1992 la Chiesa anglicana permette alle donne di diventare sacerdoti, In quasi tutte le province anglicane le donne possono essere ordinate diacono, in molte prete e in alcune anche vescovo. Si osserva inoltre che, poiche le funzioni di governatore supremo della Chiesa sono svolte dal Sovrano inglese, attualmente a capo di questa chiesa vi sia una donna: la regina Elisabetta II, come a suo tempo lo fu la regina Vittoria . ^ Cosi Giovanni Paolo II nell’Udienza del 16 gennaio 1980, incentrata sul rapporto tra uomo e donna, tra mascolinita e femminilita, dove si riconosce che la sessualita, in Eden, non e strettamente finalizzata alla procreazione