Mons. Kennedy, le chiacchiere stanno a zero

Pubblichiamo la lettera inviata dal laboratorio Re-In-surrezione, insieme al Coordinamento ItalyChurchToo, a sostegno delle cinque donne che hanno pubblicamente denunciato gli abusi subiti dall’ex-gesuita Marco Rupnik. Dopo una prima risposta, è rimasta lettera morta ed è stato deciso di renderla pubblica.

foto di Kristina Flour su Unsplash

Il 29 maggio scorso, in margine a un convegno organizzato da CEI e Ambasciata italiana presso la Santa Sede dal titolo “Abusi sui minori. Una lettura del contesto italiano 2001-2021”, mons. John Joseph Kennedy, segretario del Dicastero per la Dottrina della Fede, responsabile della sezione disciplinare, ha citato la trasparenza nei procedimenti come una delle priorità del dicastero e sue personali: «È una cosa importante – affermava Kennedy – perché se io avessi un figlio abusato da un sacerdote vorrei sapere a che punto sta il caso». Peccato che poi, nella realtà, questa priorità resti un vago concetto astratto, il che suona ancora più beffardo nel momento in cui la controparte è costituita da sopravvissuti ad abusi, già vittime di un abuso di fiducia.

Come laboratorio Re-In-surrezione, insieme al Coordinamento ItalyChurchToo, lo scorso luglio abbiamo inviato a mons. Kennedy personalmente una lettera a sostegno delle cinque donne che hanno pubblicamente denunciato gli abusi subiti da parte dell’ex-gesuita e presbitero sloveno Marco Rupnik. Per loro, rappresentate e difese dall’avv. dott.ssa Laura Sgrò, gli abbiamo chiesto un coinvolgimento attivo nel processo e massima trasparenza procedurale, in forza delle sue inequivocabili dichiarazioni d’intenti.

La nostra missiva, inoltrata da mons. Kennedy alla Segreteria del Dicastero, ha ricevuto da questa una prima tempestiva risposta, ma è poi rimasta lettera morta. A fronte dell’invito rivoltoci a utilizzare l’indirizzo istituzionale «per future comunicazioni istituzionali», abbiamo chiesto, più volte e invano, che ci fossero comunicati gli estremi del protocollo. Nessuno ci ha più risposto. E così, la trasparenza resta una parola vuota. Nel frattempo, le vittime di Marko Rupnik continuano a non sapere nulla del processo che le vede coinvolte, evidentemente solo su un piano formale. Tutto è come sempre avvolto in una coltre impenetrabile  di silenzio e disinteresse nei confronti delle persone abusate, come sempre percepite come nemici.

Mons. Kennedy, le chiacchiere stanno a zero. Fin qui, i fatti parlano solo di inerzia, inettitudine, cattiva volontà. La nostra lettera personale, ora, diventa pubblica.

Gent.mo mons. J. Kennedy

Segretario per la Sezione disciplinare

Dicastero per la Dottrina della Fede

Roma, 17/7/2024

Gent.mo Segretario,

come Laboratorio Re-in-surrezione, comprendente donne e uomini appartenenti ad alcune associazioni (Donne per la Chiesa e Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne) unite nella denuncia di ogni forma di manipolazione e abuso (spirituale, di coscienza, psicologico, patrimoniale e sessuale) ai danni delle religiose e di altre donne che appartengono o appartenevano a comunità e movimenti religiosi ecclesiali, insieme al Coordinamento contro gli abusi nella Chiesa cattolica #ItalyChurchToo, ci rivolgiamo a Lei, certi della Sua disponibilità all’ascolto, nel desiderio di sostenere e affiancare, nella loro ricerca di giustizia, le cinque donne che hanno pubblicamente denunciato gli abusi subiti da parte dell’ex-gesuita e presbitero sloveno Marco Rupnik. Esse, rappresentate e difese dall’avv. dott.ssa Laura Sgrò, meritano che sia dato il massimo spessore possibile alla loro denuncia.

L’eliminazione della prescrizione per i reati contestati a Rupnik, l’anno scorso, decisa da papa Francesco, accompagnata dalla scelta di aprire il procedimento a suo carico, ci è sembrata esprimere una intenzione di giustizia. Sappiamo che il Dicastero per la Dottrina della Fede, della cui sezione disciplinare Lei è Segretario, sta portando avanti una inchiesta sugli abusi di cui Marko Rupnik è stato accusato (https://www.tutelaminorum.org/cardinal-omalley-urges-pastoral-prudence/).

Al contempo, però, dobbiamo prendere atto del fatto che nulla trapela dello sviluppo di tale procedimento se non quanto da Lei stesso riferito ai giornalisti il 29 maggio scorso – in occasione del convegno della CEI sugli abusi nella Chiesa, svoltosi all’Ambasciata italiana presso la Santa Sede – sulla natura dello stesso, che sarebbe amministrativo e non giudiziale.

Non potendo costituirci parte civile, intendiamo quindi con la presente appoggiare la richiesta di giustizia delle vittime chiedendo ragione del silenzio che circonda lo svolgimento del processo a carico di Rupnik come le misure prese a suo riguardo. Non possiamo dimenticare che Lei, parlando con i giornalisti il 29 maggio, ha sottolineato quanto la trasparenza sia importante ai Suoi occhi, affermando: «Se avessi un figlio abusato da un sacerdote vorrei sapere a che punto sta il caso». Il silenzio che avvolge il processo rischia di apparire una sottile difesa del presunto abusatore, di far scivolare le accuse nell’oblio e di negare di fatto, col passare stesso di un tempo indefinito, le sue gravi responsabilità e il suo dovere di risponderne a coloro che ne hanno denunciato gli abusi. Certamente, tale silenzio comunica alle vittime indifferenza verso la loro sofferenza.

Come tantissime persone, appartenenti alla comunità ecclesiale e civile, ci chiediamo e Le chiediamo: dove sta la trasparenza sull’iter processuale seguito dal DDF? In che modo il silenzio che lo avvolge può conciliarsi con la dovuta e attesa sensibilità e solidarietà nei confronti delle vittime richiesta dallo stesso papa Francesco («Non deve accadere che questi fratelli e sorelle non vengano accolti e ascoltati, perché questo può aggravare moltissimo la loro sofferenza. C’è bisogno di prendersene cura con un impegno personale», 7 marzo 2024, messaggio all’Assemblea plenaria PCTM)? Lo stesso presidente della PCTM, p. O’Malley, ha recentemente sollecitato la prudenza pastorale dei dicasteri vaticani facendo appello a quanto detto: «Pope Francis has urged us to be sensitive to and walk in solidarity with those harmed by all forms of abuse. I ask you to bear this in mind when choosing images to accompany the publication of messages, articles, and reflections through the various communication channels available to us» (https://www.tutelaminorum.org/-cardinal-omalley-urges-pastoral-prudence/). L’associazione internazionale di sopravvissuti agli abusi del clero Ending Clergy Abuse – ECA ha stretto un accordo con l’Istituto di antropologia (IADC) presso la Pontificia Università Gregoriana, diretto dal gesuita p. Hans Zollner, in cui si parla anche di trasparenza nei processi. Dove si dimostra, nel caso specifico per cui ci rivolgiamo a Lei, tale trasparenza?

Considerando, peraltro, l’impossibilità delle vittime coinvolte di presenziare al processo amministrativo, –uno dei punti ciechi della legislazione canonica– , e ritenendo l’istruzione di un processo amministrativo, anziché giudiziale, non adeguata al caso quanto al rispetto delle parti lese, chiediamo:

  • Trasformazione del processo da amministrativo a giudiziario
  • Ammissione delle vittime al processo
  • Un’informazione chiara e adeguata sullo sviluppo del procedimento

Siamo convinti che il Dicastero, nella sezione disciplinare di cui Lei è segretario, abbia tutte le intenzioni di operare secondo giustizia a tutela e difesa delle vittime, e speriamo, per questo, che Lei possa considerare quanto, in modo fiducioso ma anche molto deciso, Le chiediamo.

Confidando in un Suo pronto riscontro,

cordiali saluti

Clelia Degli Esposti

Marzia Benazzi

Doretta Baccarini

Elisabetta Paolucci

Margherita Bani

Agnes Thery

Cecilia Sgaravatto

Stefania Manganelli

Liliana Lipone

Marida Nicolaci

Ludovica Eugenio

Michelangelo Ventura

Alessio Di Florio

Renata Patti

Sofia Acquaderni

Giulia Lo Porto

Giuseppina Perrucci

Sergio Tanzarella

Emanuela Provera

Federica Tourn

Monique Van Heynsbergen

Piera Baldelli

Mario Caligiuri

Gino Bonometti

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