“…se oggi tu taci, soccorso e liberazione sorgeranno per i Giudei da qualche altra parte; ma tu e la casa di tuo padre perirete; e chi sa se non sei diventata regina appunto per un tempo come questo?” (Est 4,14)
La recente indagine dell’Osservatore romano sul lavoro invisibile e sfruttato delle religiose (ripreso da tutti i giornali nazionali e da molti esteri) offre a tutti i credenti e soprattutto alle donne l’occasione per riflettere su questo mondo religioso femminile così familiare, così vicino alla nostra vita eppure così sconosciuto.
Tutti conosciamo suore che lavorano in parrocchia, negli asili, negli ospizi, negli ospedali: ne conosciamo l’impegno, la dedizione, la preparazione, eppure sappiamo così poco della loro vita, delle loro aspirazioni come donne. Sembra naturale che la suora debba abdicare a qualunque ambizione e lavorare senza riconoscimento (che sia monetario, di prestigio o incarichi ufficiali) e appare quasi sospetto quando questo non avviene. Persiste una malintesa idea di umiltà che condannerebbe le religiose a servire senza farsi sentire, ma davvero questa condizione riguarda solo le suore? Ritengo che all’interno della Chiesa non molto diversa sia la condizione delle altre donne, delle laiche. Quante volte ci è stato detto che “va bene chiedere spazio per le donne, ma non deve diventare una ricerca di incarichi e potere”? Noi stesse l’abbiamo scritto eppure più ci rifletto e più mi domando: e perché no? Perché il potere, che non è altro che la facoltà di “poter fare” esercitando autorità, deve essere un tabù per le donne? Per gli uomini non è così, agli uomini è concesso di servire Dio anche nelle loro responsabilità e nei loro incarichi; alle donne invece no: se una donna dovesse pensare di voler avere un ruolo riconoscibile o – ancor peggio – prestigioso per servire al meglio il Signore e i fratelli (non il potere per il potere ovviamente) andrebbe redarguita immediatamente per la sua superbia.
Papa Francesco già alcuni anni fa ha dichiarato: «auspico vivamente che questi nuovi spazi e RESPONSABILITÁ che si sono aperti possano ulteriormente espandersi alla presenza e all’attività delle donne, tanto nell’ambito ecclesiale quanto in quello civile e delle professioni», una boccata di ossigeno! Siamo chiamate davvero ad assumerci delle responsabilità nelle nostre comunità e lo siamo in virtù delle nostre competenze e dei talenti che il Signore ci ha elargito nella sua libertà e liberalità, la prima responsabilità è dunque quella di riconoscere queste competenze e questi talenti ed esercitarli coraggiosamente.
Per farlo occorre che ci liberiamo noi per prime dal tabù dell’autorità, dalla paura della prima linea: le donne possono e devono esercitare autorità, laddove le loro competenze siano le più adatte per il servizio alla “Maggior gloria di Dio”. Il potere è servizio e non dobbiamo temerlo, né ad alcuno è lecito negarcelo solo perché siamo donne.
Paola Lazzarini