Affettività e discriminazioni. La scelta di prendere le distanze
(comparso su “Noi, famiglia e vita” inserto di Avvenire, luglio 2019)
Il documento della Congregazione per l’Educazione Cattolica Maschio e femmina li creò. Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione, ha provocato reazioni piuttosto accese, com’era prevedibile per un documento molto atteso viste le preoccupazioni educative espresse da molti educatori cattolici, su questo tema, negli ultimi anni.
Provando a porsi in ascolto non solo del documento, ma anche delle reazioni che questo ha suscitato, vorrei proporre una lettura sintetica degli elementi di forza e di criticità, emersi da letture molto lontane culturalmente e geograficamente, e alcune implicazioni, in particolare educative e pastorali, che potrebbero avere.
Innanzitutto è importante rilevare un sostanziale e unanime apprezzamento per la scelta di affrontare la questione e di farlo a partire da un approccio educativo e non dottrinale: la scelta delle parole-chiave ascoltare, ragionare, proporreè senz’altro un’indicazione di metodo che dice la volontà di esprimersi in maniera rispettosa e dialogica, ben coscienti che si tratta di una questione che tocca la vita, le relazioni, il cuore di tante persone.
C’è qui un desiderio di rispondere alle domande degli educatori cattolici, ma anche di non lasciar cadere l’interpellanza portata dai giovani nella riunione preparatoria al loro sinodo dell’ottobre scorso, laddove chiedevano di: «affrontare in maniera concreta argomenti controversi come l’omosessualità e le tematiche del gender, su cui i giovani già discutono con libertà e senza tabù» (RP 11).
Dal punto di vista femminile, è poi particolarmente significativo vedere come il documento riconosca e valorizzi le “ricerche sul gender che cercano di approfondire adeguatamente il modo in cui si vive nelle diverse culture la differenza sessuale tra uomo e donna” arrivando a dire che “Non si può negare che nel corso dei secoli si siano affacciate forme di ingiusta subordinazione che hanno tristemente segnato la storia, e che hanno avuto influsso anche all’interno della Chiesa”(n.15).
Non è un caso che il documento sia stato recepito con favore e grande attenzione anche negli ambienti femministi laici, che hanno apprezzato particolarmente il richiamo alla differenza sessuale in un contesto culturale che cerca, anche mediante pratiche mediche come la gestazione per altri, di depotenziare e rendere invisibile il corpo femminile.
Particolarmente significativi sono, inoltre, i richiami al patto fiduciario, anzi all’alleanza, tra scuola famiglia e società per l’educazione all’affettività, che diventa anzitutto educazione alla scoperta di sé, del proprio corpo come dono di Dio e della vocazione alla relazione che ognuno porta in sé.
L’elemento che personalmente trovo più rilevante, lungamente atteso, è la chiara, ferma, esplicita condanna di ogni forma di discriminazione: “nessuno, a causa delle proprie condizioni personali (disabilità, razza, religione, tendenze affettive, ecc.), possa diventare oggetto di bullismo, violenze, insulti e discriminazioni ingiuste”(n.16). Queste, che nei nostri contesti possono apparire attestazioni evidenti e quasi scontate, non dappertutto lo sono, se pensiamo solo a paesi nei quali l’omosessualità è un reato (circa un terzo dei paesi del mondo), in cui si rischia la prigione, quando non la tortura o lo stupro correttivo; posti nei quali la vita di queste persone è considerata senza valore: qui il silenzio delle istituzioni religiose ha sempre pesato e oggi questo silenzio è stato rotto. La speranza che la voce di condanna giunga forte e chiara in tutto il mondo e modifichi l’atteggiamento delle chiese locali è alta.
Venendo agli elementi critici vorrei partire dal richiamo ai “valori della femminilità” che risente della consuetudine a considerare “la donna” come una categoria uniforme, non le donne come metà della popolazione umana. La citazione della lettera di Giovanni Paolo II del 1995 dice che la donna è in grado di comprendere la realtà in modo unico: sapendo resistere alle avversità, rendendo « la vita ancora possibile pur in situazioni estreme… realizzano una forma di maternità affettiva, culturale e spirituale”. Queste parole, nel contesto del documento, potrebbero indurre a un’idea rischiosamente omologante. E cioè quella di ricondurre a un’idea di donna sempre e inequivocabilmente madre e di una donna che sempre e comunque, tutto sopporta. È l’idea di donna che può legittimamente farsi un uomo -anche un Papa santo- ma che rischia di non descrivere né tantomeno esaurisce la complessità e la varietà dell’umanità femminile, anzi rischia di fare della complementarietà con gli uomini un feticcio che nei fatti ne limita la piena espressione come soggetto. E che, in alcuni contesti, potrebbe anche essere intesa come implicita ammissione di prevaricazioni maschiliste, offensive per la dignità femminile.
Colpisce, inoltre, come un documento che prende in considerazione un tema così chiaramente complesso e multidisciplinare come il gender, citi nella propria bibliografia solo altri documenti vaticani o papali, senza alcun riferimento diretto a una qualche letteratura scientifica. Quando, ad esempio, si dice che “L’avvento del XX secolo – con le sue visioni antropologiche – porta con sé le prime concezioni del gender, da un lato basate su una lettura prettamente sociologica delle differenziazioni sessuali e dall’altra su un’enfasi delle libertà individuali” (n.8) non si rischia di dimenticare gli apporti della psicanalisi, della psicologia, della psicobiologia, dell’antropologia culturale nell’approfondimento del rapporto tra sesso e genere? E allora ci si chiede: la pubblicazione del documento non sarebbe stata un’occasione preziosa per rafforzare il dialogo con la cultura contemporanea che, così come appare nel testo, sembra piuttosto ridotto? Messa da parte anche la ricca elaborazione teologica, che nei decenni scorsi si è sviluppata in questo campo e comunemente chiamata teologia queer.
Nel testo la sessualità appare definita e determinata unicamente dai caratteri maschili e femminili. Una scelta comprensibile. Ma, parlando di genere, la scienza ha da tempo documentato l’esistenza di un margine di variabilità – pure al di fuori della complementarietà maschile / femminile – che non sembra possa essere considerata come prodotto di una scelta individuale. Inoltre nel documento si nota una forte insistenza sul corpo, che diventa quasi un assoluto, in particolare nella sua dimensione visibile. Ci si chiede perché si sia scelto di lasciare sullo sfondo la complessità di questioni come le dinamiche ormonali, la chimica del cervello e anche i dati genetici, elementi tutti che la scienza ha ampiamente approfondito e che si collocano su un piano ben diverso da quello della libera scelta.
Quando poi si entra su questioni particolarmente controverse, come la situazione delle persone transgender, il documento rischia di semplificare una materia scottante, parlandone come di una rivendicazione rispetto al poter “scegliere un genere che non corrisponde con la sua sessualità biologica e, quindi, con il modo in cui lo considerano gli altri (transgender)” (n.11). Ci si domanda quanto ci sia dell’esperienza reale delle persone transgender in questo documento.
In una testimonianza toccante, suor Luisa Derouen (Suore Domenicane della Pace), che da vent’anni svolge il suo servizio tra le persone transgender negli Stati Uniti, racconta: una comune narrazione disinformata sulle persone transgender è che sono peccaminose, egoiste, deliranti e potenzialmente pericolose. Se questo è ciò che crediamo, come possiamo avere una mente aperta per imparare su di loro e da loro? Non scelgono il loro genere. Chi sceglierebbe di essere rifiutato dalla famiglia, dagli amici e dalle comunità di fede? Chi sceglierebbe di perdere il proprio lavoro, la propria casa, la propria reputazione? Molti si impegnano in anni di consulenza facendo il duro lavoro dell’autoconoscenza e elaborando le conseguenze di ogni decisione che prendono lungo la strada. È stato un grande privilegio in tutti questi anni essere testimone della loro fedeltà a Dio. Recentemente ho ricevuto una email da una transessuale piena di fede, la cui salute è seriamente compromessa da anni di stress per continuare a fingere di essere qualcuno che sa di non essere. Nei nostri numerosi scambi, mi ha scritto: “Offenderò Dio se farò la transizione? Non c’è vita dentro di me senza Cristo al centro, tuttavia, non c’è me senza transizione, che paradosso”. La mia esperienza è che, senza eccezioni, quando smettono di combattere la loro realtà transgender e accettano che questo è ciò che sono, la loro relazione con Dio è rafforzata, non diminuita.
In questa e altre testimonianze emerge come l’elemento centrale della vita cristiana, la comunione con Dio, porti a fare verità di sé e questo – a volte – si traduce in un intervento medico, ma non può affidarsi unicamente a una scelta medica che estrometta il soggetto (“non sono i genitori né tantomeno la società che possono fare una scelta arbitraria, ma è la scienza medica che interviene con finalità terapeutica”n.24), bensì a un percorso di discernimento nel sacrario della coscienza e nella relazione con il Dio vivente.
La preoccupazione per la crescita umana e spirituale dei ragazzi, che pervade tutto il documento, raggiunge tutti noi educatori, genitori, insegnanti e ci invita a porci – noi per primi – come mediatori del dialogo invocato. Con un occhio di riguardo e particolare cura per quelli che si trovano a confrontarsi, spesso spaventati e smarriti, con la scoperta delle proprie inclinazioni sessuali.
Se sapremo accogliere i nostri figli e i nostri ragazzi per quello che sono, se sapremo accompagnarli con saggezza e gratitudine nella scoperta di sé e nell’incontro con il Dio creatore, allora avremo fatto diventare carne l’invito di Papa Francesco a far crescere in loro “l’apertura all’altro come volto, come persona, come fratello e sorella da conoscere e rispettare, con la sua storia, i suoi pregi e difetti, ricchezze e limiti” (Discorso all’Associazione Italiana Maestri Cattolici, 5 gennaio 2018) a cui tutto il lavoro della Commissione è orientato.
presidente Associazione Donne per la Chiesa