LO STILE DEL NOSTRO CAMMINO: Assertività, Alleanza, Libertà
di suor Anna Casati
Propongo alcuni spunti di riflessione a partire da tre criteri presenti nel Manifesto del gruppo “Donne per la Chiesa”: assertività, alleanza femminile, libertà. L’obiettivo è quello di attivare un discernimento sullo stile di presenza e testimonianza che vogliamo portare avanti. Lo facciamo partire dal confronto con tre episodi raccontati nei Vangeli che ci parlano di donne che hanno incarnato questo stesso stile e che diventano per noi guide e compagne di strada nel nostro percorso di ricerca.
ASSERTIVITÀ Proponiamo e chiediamo riconoscimento
Ci impegniamo a coltivare l’assertività, cioè ad esprimere i sentimenti, i desideri, le idee, nel rispetto altrui.
Ho ascoltato qualche giorno fa una frase che esprime molto bene il nucleo dell’assertività di cui stiamo parlando: “Stare bene con se stessi aiuta in tutto”. L’assertività che ciascuno e ciascuna di noi può vivere viene anzitutto dallo stare bene con se stessi/e, dall’essere in quella forma in cui ci sentiamo davvero noi stessi/e, in cui sentiamo che ci esprimiamo con libertà. Questa consapevolezza di sé e pacificazione è lo strumento più prezioso per andare incontro agli altri, perché apre la strada dell’ascolto, del rispetto, della libertà espressiva, della ricerca comune nella diversità di opinioni. E apre alla possibilità di un riconoscimento autentico.
Questo stile di presenza mi fa pensare alla figura della donna cananea, di cui si parla nel Vangelo secondo Matteo (Mt 15,21-28). Questa donna chiede un riconoscimento, e lo fa con uno stile assertivo. Ci consegna infatti tre atteggiamenti che possono essere utili nell’orizzonte di una comunicazione assertiva, in vista di un riconoscimento:
- umiltà: non è remissività, bensì è la capacità di riconoscermi per chi sono senza la presunzione di possedere la verità, ma essendo semplicemente libera di esprimere il mio punto di vista. C’è una canzone in cui si dice “ricorda che l’umiltà apre tutte le porte”: credo sia molto vero, perché si tratta proprio di orientarsi nel mondo e portare avanti le proprie proposte senza scoraggiarsi. Posso agire così se sono libera dentro;
- fiducia: questo è l’ingrediente centrale di ogni relazione significativa. Io insisto in una strada perché ho fiducia che quella strada mi porterà da qualche parte; scelgo di entrare in relazione con una persona perché mi fido di lei, perché ho fiducia che tra noi possa nascere un’intesa. Nel nostro cammino ci rivolgiamo con fiducia a chi può e vuole aiutarci; come questa donna, che ha fiducia nel fatto che Gesù la possa ascoltare e aiutare, e per questo non si ferma;
- perseveranza: proprio perché mossa dall’umiltà e dalla fiducia, la donna persevera, non si scoraggia e chiede con insistenza di essere riconosciuta. E’ un atteggiamento molto lontano dalla rivendicazione violenta. È piuttosto l’atteggiamento di chi conosce le proprie esigenze e i propri desideri e li mette in gioco. Così nella Chiesa ciascuno e ciascuna di noi è chiamato/a a dare il suo contributo, a chiedere di prendere parte alla tavola.
Non dimentichiamo un altro fatto importante. Questa donna, con la sua azione e la sua ironia (la stessa canzone citata prima dice anche: “ricorda che l’ironia ti salverà la vita”), diventa un segno per Gesù stesso: in qualche modo lo costringe ad ampliare la prospettiva. E ci insegna da una parte ad avere questa stessa fiducia, e dall’altra a credere che un cambiamento sia possibile anche in quella situazione che appare immodificabile. Gesù le risponde che è venuto solo per Israele, ma poi sappiamo cosa succederà in seguito… questa donna è stata profetica.
La comunicazione assertiva ci rende sorelle di altre sorelle e fratelli. Per questo un secondo criterio che guida il nostro cammino è quello dell’alleanza.
ALLEANZA FEMMINILE Scegliamo di essere alleate delle sorelle che incontriamo
È un’alleanza nel segno dell’accoglienza e dell’inclusività, non dell’opposizione. L’obiettivo non è creare muri bensì cercare strade percorribili nel rispetto delle differenze. La questione in gioco non è quella di portare avanti una rivendicazione al femminile immaginando un blocco compatto di persone che in qualche modo pensano e agiscono nell’uniformità o creare un nuovo stereotipo di donna; bensì, scardinare lo stereotipo e dunque mettere al centro la differenza. La differenza individuale, a partire dalla quale noi crediamo sia possibile un’alleanza.
Tra noi c’è una somiglianza: ciascuna di noi si ritrova nel manifesto che è stato presentato, ma ciascuna in modo diverso dall’altra. Allora credo che la valorizzazione della differenza sia alla base della proposta di un’alleanza. Per questo il manifesto propone uno sguardo inclusivo: non è stato firmato solo da donne e riconosce la positività di uno sguardo che non si limita a ciò che è da sempre già riconosciuto, ma si apre alla novità dell’oggi. Uno sguardo che sa riconoscere e trovare la parola di Vangelo nella narrazione delle differenze che la nostra società ci testimonia. E’ quindi uno stile di condivisione. Ci sono diversità di opinioni, di visioni, di storie, di appartenenze, di narrazioni, perché siamo tutte diverse, siamo tutti diversi, ma c’è la volontà di ascoltarci e di camminare insieme nella condivisione.
Questo stile di alleanza ci riporta a una relazione di cui parla il Vangelo secondo Luca là dove racconta dell’incontro tra Maria ed Elisabetta (Lc 1,39-45). Elisabetta è anziana, Maria è giovane. Entrambe vivono una situazione di straordinarietà e di attesa, ma le condizioni nelle quali ciò si compie sono diverse. C’è un mettersi in movimento di Maria, un andare incontro a Elisabetta; c’è un gesto intenso di saluto (l’abbraccio) connotato dalla gioia (data dal riconoscere l’azione di Dio nelle loro vite); c’è l’ascolto reciproco e l’esigenza di condividere. E condividere ciò che Dio compie crea una comunione a un livello molto profondo e ciò a sua volta crea alleanza. È un processo graduale, una tessitura di gesti, parole, atteggiamenti.
Come ho detto, le nostre esperienze e appartenenze sono molto diverse, ma il desiderio è quello di essere l’una per l’altra una presenza che ascolta e mette in comune la sua esperienza di Dio, che è unica per ciascuno e ciascuna. Dio abita le nostre vite in miliardi di modi diversi, attraversando tutte le condizioni e le scelte. Tessere dei legami nell’ascolto e nella condivisione di ciò che Dio compie nelle nostre vite ci può rendere davvero come Maria ed Elisabetta, portatrici di gioia e di novità.
La condivisione apre sempre più in noi spazi di libertà, perché condividendo a un livello profondo si cresce. Qui mi collego al terzo criterio della nostra proposta.
LIBERTÀ Non vogliamo posti di prestigio ma di poterci essere con la nostra unicità
Questa libertà di esserci assomiglia a quella di una donna di cui si parla nel Vangelo secondo Luca (Lc 7,36-50). Questa donna, una peccatrice della città, sapendo che Gesù è invitato a casa di un fariseo di nome Simone, compie un gesto molto coraggioso e molto libero. Vuole entrare in relazione con Gesù e lo fa con una modalità spiazzante per Simone e forse anche per gli altri commensali, ma che è il suo modo di manifestare la sua vicinanza, il suo amore, il suo desiderio di comunione.
E’ interessante l’atteggiamento di Gesù: non rifiuta gli inviti di nessuno e ha un atteggiamento accogliente e inclusivo. Non esclude nessuno dalla tavola, neanche questa donna che non è invitata a condividere il pasto, ma che si fa presente in un altro modo. Non la disprezza, non la giudica, non le impedisce di fare ciò che sta facendo, non usa discorsi di convenienza e non trova strategie per sbarazzarsi di lei. Anzi, racconta a Simone una parabola per aiutarlo a cambiare prospettiva, perché Simone ha uno sguardo diffidente che gli impedisce di vedere che cosa sta dicendo e sta cercando questa donna. L’atteggiamento di Gesù ci mostra quindi l’accoglienza di una modalità differente di agire e di farsi presente.
Allora mettiamoci in ascolto della libertà espressa da questa donna. Il Vangelo non ci riferisce sue parole ma una serie di gesti che in seguito Gesù metterà in contrasto con l’agire di Simone, colui che l’ha invitato. Questa donna vuole entrare in relazione con Gesù, e, poiché Gesù stesso non glielo impedisce, nessuno può presumere di farlo al posto suo. Il coraggio con cui la donna compie questi gesti crea l’occasione per Gesù di mostrare il suo stile: l’accoglienza della diversità con cui ciascuno e ciascuna di noi manifesta il suo amore, il suo dolore, il suo desiderio di purificazione e perdono, la sua richiesta di aiuto, la sua gioia. Non esiste un modello preconfezionato, neanche dell’amore.
Simone mette in gioco un atteggiamento che tende a giudicare e a considerare la donna in base a “ciò che si dice di lei” o a “ciò che fa”, o a uno stereotipo che le è stato cucito addosso; perciò per Simone la donna è la peccatrice, è un genere di donna da cui stare alla larga, moralmente riprovevole, da condannare. Gesù invece la accoglie perché è capace di leggere il suo desiderio autentico di amore e di perdono, di intimità e di amicizia. Allora la relazione che qui si instaura tra Gesù e la donna ci insegna ad essere coraggiose/i, a osare essere chi siamo, esprimere il nostro amore, perché questo libera la nostra vita e diventa liberante anche per altri e altre. Diventa infatti anche per Simone un’occasione di rilettura del suo atteggiamento.
Concludo questa proposta di riflessione con alcune domande per aiutare il processo di discernimento nel quale siamo incamminate/i.
Quale cammino è praticabile per fare in modo che la molteplicità delle risorse differenti di cui disponiamo sia condivisa nell’ascolto reciproco? Quali passi concreti di condivisione intravediamo?
E poi, attraverso quali gesti si manifesta la libertà della nostra sequela, del nostro desiderio? Che cosa ci muove in profondità al punto che siamo disposte/i a rischiare per portare fino in fondo questo sentire?
Perché dalla nostra libertà dipende il coraggio e la fiducia con cui guardiamo al futuro e cerchiamo strade percorribili.