Dorothy Day | Una lunga solitudine
| Autobiografia | Jaca Book, traduzione di Marilina Degli Alberti
Dorothy Day è stata un’attivista cattolica che ha dedicato la vita alla giustizia sociale.
Nata nel 1897 a Brooklyn, fin da giovanissima, Dorothy Day si appassiona alla causa dei diritti delle classi sociali più povere, a partire dal proletariato americano della Grande Depressione. Nata all’interno del movimento anarchico e comunista, la lotta sociale di Dorothy Day non si ferma con la sua conversione al cattolicesimo. Anzi, assume una nuova dimensione. La massa viene sostituita dal “popolo”. La persona torna al centro. La dignità di ogni individuo, che sia l’operaio sotto la soglia della povertà, l’immigrato o la persona Nera (ricordiamoci che siamo prima delle battaglie dei diritti civili, in piena epoca delle leggi di segregazione razziale), diventa il centro dell’impegno di Dorothy Day. Impegno che dura per sempre e che permea ogni aspetto della sua vita.
Madre di una figlia che ha con il suo compagno al di fuori del matrimonio, per scelta, prima della sua conversione, Dorothy Day sceglie poi dolorosamente di separarsi dal compagno proprio per coerenza con la sua nuova fede cattolica. Cresce quindi la figlia da sola, lavorando a tempo pieno come giornalista e poi, dopo aver lanciato il Catholic Social Movement, dedicandosi completamente a questo movimento.
Riguardo il suo impegno e quello di tutto il movimento per la giustizia sociale, dice:
“Ognuno di noi attirato verso le persone povere lo era per un senso di responsabilità, una percezione che in qualche modo ci faceva capire che stavamo vivendo dello sfruttamento di qualcun’altro. Il fatto che noi fossimo nati in un determinato ambiente, ci fosse stato possibile andare a scuola, potessimo competere con altri e difenderci, avessimo poche o nulle disabilità – tutte queste cose ci definivano in qualche modo privilegiati”.
La dimensione femminile del suo impegno, e di come la Chiesa la vedesse, non viene ignorata da Dorothy Day.
“Una volta un prete mi disse che se fossi stata una donna di famiglia, le cose che scrivo su The Catholic Worker su comunità e personalismo avrebbero una maggiore validità. (..) Ma io sono una donna di famiglia! Ho avuto un compagno e una vita casalinga – ho una figlia e gestisco i suoi problemi quotidianamente. Come posso permettere che qualcuno mi metta in testa che io sia una persona sola? Sono madre, e madre di una grande famiglia per di più. Essere madre è realizzazione, è dedicarsi agli altri, è Amore e, ovviamente, è soffrire. “Fa abitare nella casa la donna sterile come madre gioiosa dei figli.” Dio mi ha veramente resa la donna sterile che abita la casa, madre gioiosa dei figli.”
Peraltro, proprio la figlia di Dorothy Day è in parte responsabile del titolo dell’autobiografia, la lunga solitudine. Situazione comune a molte donne nel corso della vita, ad esempio quando si hanno figli piccoli o più spesso durante la vecchiaia, la lunga solitudine è centrale nel pensiero di Day.
“L’unica risposta alla solitudine che siamo tutti destinati a sperimentare è la comunità. Vivere insieme, lavorare insieme, condividere, amare Dio e il fratello e la sorella, e vivere insieme con loro perché cosi si manifesti il nostro amore per Lui.”